In questa newsletter, un approfondimento suggerito dalla prof.ssa Annalisa Pinoni: partendo dalla sua "esperienza sul campo" di docente e lasciandosi aiutare dal contributo di Grandi Figure, prova a rispondere alla domanda: perchè studiare ancora storia dell'arte, OGGI?
Aprile potrebbe essere “il mese della Cova”.
Ad aprile ricorrono infatti due giornate mondiali significative per la scuola: la più recente, del 21 aprile, è quella della creatività e dell’innovazione. Non è necessario spendere molte parole per spiegare perchè queste siano due parole chiave fondamentali nei percorsi di formazione compresi nell’offerta di scuola Cova: basti solo accennare alla Modellazione e fabbricazione digitale, alla realtà virtuale e aumentata, alla progettazione, al FabLab e alle scienze integrate.
Prima ancora, c’è il 15 aprile, data in cui ricorre l’anniversario di nascita di Leonardo Da Vinci e per questo consacrata a giornata mondiale dell’arte.
Se da un lato, la preparazione professionale all’utilizzo delle ultime tecnologie e dei nuovi software ha un chiaro obiettivo di inserimento nel mercato del lavoro, sempre più competitivo e specifico, la domanda “Perchè studiare storia dell’arte?” può essere provocatoria.
La provocazione si fa sempre più attuale dal momento che si sta discutendo per introdurre nell’acronimo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) una A, proprio per ARTS. Sembra una novità il legare arte (tradizionalmente, il sapere umanistico) con le scienze e la matematica (le discipline del rigore): in realtà è un po’ al ritorno alle origine della cultura quando, prima della suddivisione in trivio e quadrivio nel medioevo, la conoscenza teorica e la competenza tecnica erano unite in un dialogo continuo e costante. Dialogo ripreso con la figura dell’artista-intellettuale nel rinascimento. Questa “rinascenza” è riproposta oggi, attualizzata e contestualizzata con e dentro la dimensione digitale.
Ecco che così la prof.ssa Annalisa Pinoni, docente di progettazione e storia dell'arte, prova a rispondere all’interrogativo:
«Prooof! Perché dobbiamo studiare storia dell’arte, dell’arredamento o del design? Non la capiamo, è noiosa, facciamo fatica a studiarla!»
Ecco, questa è la tipica frase che mi sento dire dagli studenti quando si inizia il percorso di studio della storia dell’arte, che generalmente viene inteso come “altra roba da imparare”, senza riuscire a vedere l’arte come una necessità naturale insita nell’uomo, un bisogno primario nato prima ancora che iniziasse la storia. Il fare arte, ossia fare qualcosa che accanto ad una funzione ha anche un valore estetico, è una cosa naturale che appartiene a tutti i popoli. Far comprendere l’arte agli studenti è però tutta un’altra storia.
Ma cosa significa raccontare la storia dell’arte, secondo un prima e un poi, secondo il tempo? Innanzi tutto occorre precisare che la storia dell’arte è una invenzione occidentale greco-romana, o al più della cultura cinese, significa aiutare gli studenti ad allenare lo sguardo attraverso lo scorrere del tempo analizzando le opere in un contesto fisico, sociale, analizzando le tecniche, il linguaggio, intersecando in modo trasversale altre discipline come la letteratura, la storia e la scienza. Occorre esercitare un’educazione alla cultura che richiede di far comprendere la costruzione di un’immagine, cogliere i suoi risvolti sociali, capire che l’immagine non è la realtà ma la costruzione di un discorso. Perciò «l’arte è anche un apprendimento alla conquista di sé stessi e del tempo» (F. Mitterand, 2011)
Lo storico dell’arte Salvatore Settis, in un bellissimo articolo del 2011, sostiene che: «la storia dell’arte aiuta a vivere, […] regala conoscenza, regala libertà, regala uguaglianza: purché le sue conoscenze siano condivise».
Per Tomaso Montanari, che da tempo denuncia a gran voce la mutazione della funzione stessa del patrimonio storico artistico, «chiamato a produrre non cultura gratuita, ma intrattenimento a pagamento, studiare storia dell’arte può apparire non solo inutile, ma addirittura pericoloso: pericoloso perché, come disciplina umanistica, essa allena al senso critico e al libero giudizio, e perché, come storia, essa tende a restituire il patrimonio al suo vero senso. […] Nel 1948 la Costituzione ha spaccato in due la storia dell’arte italiana, assegnando a spiagge e montagne, a musei e a chiese una missione nuova al servizio del nuovo sovrano: il popolo cioè noi tutti.» La Costituzione, «ha dato parole nuove ad una idea antica. Perché una tradizione secolare suggeriva che proprio l’arte e il paesaggio fossero leve potenti per «rimuovere gli ostacoli... all’eguaglianza» e permettere il «pieno sviluppo della persona umana».
Mai come oggi possiamo sentire la forza di questa idea: in un mondo in cui siamo sempre meno uguali, il fatto che il paesaggio l’arte appartengano egualmente a ricchi e poveri è uno dei pochi segni di speranza. L’arte e l’ambiente possono davvero aiutarci a costruire un mondo diverso».
È a quest’ultimo passaggio che mi vorrei collegare per spiegare a cosa serve l’arte nella progettazione, che di per sé è un processo sistemico, in risposta ad un obiettivo specifico, che prevede un percorso suddiviso in fasi e attività di lavoro con tempi prestabiliti.
Eppure, un progetto prima di essere un insieme di fasi e attività, è un modo di pensare il mondo è un modo per collegare la nostra interpretazione del quotidiano a una rappresentazione di ciò che è possibile modificare. Un progetto è innanzi tutto un’idea. Gli artisti hanno sempre progettato le loro opere, guardate, ad esempio, gli schizzi preparatori di Raffaello per la Madonna del prato, dove costruisce l’opera per ottenere il giusto equilibrio, il rapporto esatto a determinare la massima armonia d’insieme. Oppure lo studiolo del Duca di Montefeltro, mirabile sintesi di progettazione, arte, artigianato, dove i più grandi pittori dell’epoca sono stati chiamati per progettare le figure prospettiche intarsiate da straordinari artigiani.
Aldo Rossi disegnava le sue architetture come quadri, utilizzando il disegno come palestra della memoria, progetta il Teatro del Mondo per la Biennale di Venezia nel 1979, all’interno del quale «l’architettura finisce e inizia il mondo dell’immaginazione».
E quando l’arte incontra le arti, così dette applicate, quando l’arte si fa materia ed entra nelle case di tutti noi e nelle aziende si coinvolgono gli artisti nella fase di progettazione, si parla di design. Lo stesso Rossi riduce l’architettura alle dimensioni di un oggetto domestico e questo, a sua volta, si dilata allo stesso tempo nel territorio, come le cabine dell’Elba, cabine balneari, edifici e anche contenitori domestici per la ditta Molteni & C.
Di fatto sia l’arte che la progettazione son fatte dall’uomo per l’uomo, scinderle è impensabile, perché l’una alimenta l’altra, e se l’arte è un apprendimento alla conquista di sé stessi e del tempo, la progettazione ha la funzione e l’obbligo di rendere questo tempo migliore.
«Non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è l’acciaio, non è il vetro l’elemento più resistente. Il materiale più resistente nell’edilizia è l’arte»
(G. Ponti, Amate l’architettura, 1957)
R. Guasco, 7 opere d'arte che aiuteranno a cambiarvi la vita
C. Miliani, Scienza per l'arte on the road
D. Tramentozzi, Sei sicuro di vedere l’arte?
A. Herman, Visual Intelligence (SUB ITA)